Femminicidio e Impulsività |
Ancora 152 casi di femminicidio in Italia nel 2014: il 94% per mano di un uomo.I femminicidi in Italia dimuiscono rispetto al numero record del 2013 (-15,1%), che ha tuttavia riguardato le donne uccise dalla criminalità (da 57 a 35, pari a -38,6%), e soltanto marginalmente i femminicidi familiari: questi sono infatti stati 117 nel 2014 (pari al 77% dei femminicidi totali), replicando il numero censito nell’anno precedente (122 nel 2013). Forte contrazione dei casi al Sud (-42,7% ), in crescita, invece, il fenomeno al Nord (+8,3%). IL RAPPORTO
25 NOV - Nel 2014 ancora 152 donne uccise in Italia. Il 77% all’interno della famiglia – Sono 152 i femminicidi commessi in Italia nel corso del 2014, un dato in calo rispetto al numero record del 2013 (-15,1%), che ha tuttavia riguardato le donne uccise dalla criminalità (da 57 a 35, pari a -38,6%), e soltanto marginalmente i femminicidi familiari: questi sono infatti stati 117 nel 2014 (pari al 77% dei femminicidi totali), replicando sostanzialmente il numero censito nell’anno precedente (122 nel 2013). A livello provinciale, nel 2014, in linea con la dinamica osservata a livello regionale, è Milano, con 14 vittime, a registrare il maggior numero di donne uccise nel proprio territorio (erano 6 nel 2013), seguita da Roma con 13 femminicidi (due in più rispetto agli 11 del 2013); seguono Torino (con 8 vittime) e Firenze, dove il numero dei femminicidi passa da un solo caso nel 2013 a ben 7 nel 2014. Femminicidi 2014: le donne uccise per mano di un uomo nel 94% dei casi. Ben il 90,9% delle donne vittime di omicidio volontario in Italia (tra il 2010 e il 2014) è stata uccisa per mano di un uomo (94% nel solo 2014), evidenziandosi la centralità del conflitto di genere quale elemento irrinunciabile per la comprensione della genesi del femminicidio. Considerando inoltre i soli femminicidi familiari, l’incidenza degli autori uomini raggiunge il 92% dei casi (contro l’8% di autrici donne), scendendo all’87,7% negli ambiti omicidiari diversi da quello familiare (dove nel 12,3% dei casi l’autore del delitto è stata una donna). Straniera quasi una vittima di femminicidio su quattro. Negli ultimi 5 anni in Italia le donne straniere hanno rappresentato il 23,5% delle vittime di femminicidio (20,4% nel 2014), evidenziando le forti difficoltà derivanti dall’incontro tra culture che nella lettura del ruolo sociale e familiare della donna, così come nella visione della parità di genere e del “diritto all’autodeterminazione” presentano forse le più forti distanze: tra il 2010 e il 2014 si contano infatti in Italia ben 192 donne straniere vittime di omicidio (31 nel solo 2014), con un indice pari a 16,9 vittime per milione di residenti contro 4,4 tra le italiane (5,3 l’indice generale), scendendo rispettivamente a 11,8 ed a 4,2 nel 2014, a seguito di una diminuzione delle vittime straniere (-27,9%) superiore a quella delle italiane (-11%). Tale maggiore rischio trova pieno riscontro sia all’interno dell’ambito familiare e delle relazioni affettive (con 10 vittime straniere uccise in famiglia per milione di residenti, a fronte di 3,2 italiane), sia negli altri ambiti complessivamente considerati (6,8 contro 1,1 per le italiane). Inferiore alla percentuale delle vittime il numero degli autori di femminicidio stranieri (21,4% tra il 2010 e il 2014): l’incidenza delle donne straniere uccisa da un italiano (39,6% del totale) risulta infatti superiore a quanto rilevato per i femminicidi di donne italiane commessi da stranieri (10,4%). In termini assoluti, tuttavia, i valori risultano assai più vicini, con 62 donne italiane uccise da autori stranieri e 67 straniere uccise da italiani nel periodo 2010-2014. Femminicidi familiari: 7 vittime su 10 uccise dal partner/ex partner (69,2% nel 2014). Una su due dal coniuge. Se i femminicidi familiari costituiscono il segmento maggioritario del fenomeno, al loro interno sono gli “omicidi di coppia”, ovvero quelli compiuti da coniugi/partner o ex partner ad evidenziare le maggiori ricorrenze, con 81 vittime nel solo 2014, pari al 69,2% dei 117 femminicidi familiari censiti nell’anno (il dato relativo al quinquennio 2010-2014 indica 393 femminicidi di coppia pari al 68%). Più in particolare, il più alto numero di femminicidi nel 2014 è compiuto dal coniuge o convivente (48, pari al 59,3%), cui seguono gli ex coniugi/ex partner (16 vittime, pari al 19,8%) ed i partner non conviventi (6 vittime, pari al 7,4%). Il coinvolgimento della figura materna nei femminicidi familiari risulta invece nel 2014 inferiore a quello dell’anno precedente (12 vittime, pari al 10,3%, a fronte delle 21 del 2013), mentre risultano in aumento le figlie uccise (14, pari al 12% del totale, a fronte degli 8 casi del 2013). Stabile infine il coinvolgimento delle altre figure familiari (nonne, zie, sorelle, ecc.), pari al 10,6% dei casi tra il 2010 e il 2014. Diminuisce nel 2014 l’età media delle vittime, ma aumenta la percentuale delle donne anziane uccise (33,6%). Tra il 2010 e il 2014 l’età media delle vittime si attesta a 50,3 anni (contro 43,2 anni mediamente rilevati tra le vittime maschili), un valore analogo a quello registrato nel 2014 e inferiore rispetto ai 53,4 anni del 2013. Nel 2014 si registra inoltre una significativa crescita dell’incidenza delle due fasce anagrafiche “esterne”: la percentuale di donne anziane si attesta infatti ad oltre un terzo del totale (51, pari al 33,6%) e quella di ragazze minorenni all’8,6% (13 vittime), per effetto soprattutto della significativa crescita dei figlicidi nell’ultimo anno. Ancora inferiore risulta l’età media delle uccise in famiglia (48,6 anni) e in particolare delle donne uccise all’interno di una relazione di coppia (45,5 anni), a fronte di un valore pari a 54,4 anni per le vittime negli altri contesti. I moventi dei femminicidi familiari: “gelosia e possesso” nel 32,5% nei femminicidi familiari, liti e conflitti nel 20,6%. In ben il 32,5% dei femminicidi familiari censiti tra il 2010 e il 2014 (188 in valori assoluti), è “la gelosia/il possesso” a risultare il movente principale: si tratta di omicidi derivanti da una patologia della relazione, agiti da uomini patologicamente pervasi da possessività e gelosia o piuttosto incapaci di accettare la libertà e l’autodeterminazione della donna e/o di gestire un distacco, una separazione o un tentativo di separazione voluto della compagna/ex compagna. Tale movente, che risulta maggioritario anche nel 2014, si attesta al 35,3% al Nord (rispetto al 31,1% al Centro e al 29,5% al Sud), salendo al 44,3% tra i soli femminicidi “di coppia” (con 174 vittime nell’ultimo quinquennio). Una situazione di estrema litigiosità e conflittualità appare il comune denominatore di circa un quinto dei femminicidi familiari (20,6%, pari a 119 in valori assoluti tra il 2010 e il 2014, che sale al 23,7% al Sud), seguiti da quelli conseguenti a disturbi psichici dell’autore (13,7%, pari a 79 casi), cui si associa molto spesso l’indicazione del “raptus” quale movente omicidiario (39 casi, pari al 6,7%). Una quota significativa di femminicidi familiari (49, pari all’8,5%) è inoltre compiuto per motivi di interesse/denaro: un movente, questo, che sale al 26,5% dei casi negli omicidi che coinvolgono “altre figure parentali” (nonne, zie, sorelle, ecc.), attestandosi ad un significativo 19,8% nei matricidi. Un’incidenza analoga (8,5%) si rileva per i femminicidi con vittime in situazione di forte disagio (fisico o psichico), mentre piuttosto marginali (2,9%) appaiono i femminicidi familiari attribuibili a “futili motivi”. Colpevoli di decidere: 140 donne uccise in Italia, dal 2010 e il 2014, per aver lasciato il proprio compagno. Oltre la metà nei primi 90 giorni dalla separazione. I “femminicidi del possesso” seguono generalmente la decisione della vittima di uscire da una relazione di coppia; a tale dinamica sono da attribuire con certezza il 91,6% dei femminicidi censiti tra le “coppie separate” (96 casi tra il 2010 e il 2014 e il 100% di quelli riscontrati nel solo 2014), così come 44 femminicidi in quelle ancora unite (il 17,9% dei casi noti nel periodo 2010-2014 e ben il 27,1% nell’ultimo anno), dove la separazione si manifesta come intenzione. Le informazioni relative al tempo intercorso tra la separazione e l’omicidio evidenziano chiaramente come il periodo a più alto rischio sia quello relativo ai primi tre mesi successivi alla separazione, all’interno dei quali avviene il 51,8% dei femminicidi commessi nelle coppie separate, di cui il 21,4% nel primo mese e il 30,4% tra il primo e il terzo mese (periodo 2010-2014); il rischio diminuisce significativamente nei periodi successivi: nel 7,1% dei casi il femminicidio è stato compiuto nel periodo compreso tra 3 e 6 mesi dalla separazione, nel 12,5% da 6 a 12 mesi, nel 21,4% da 1 a 3 anni e nel 7,1% da 3 a 5 anni. L’epifenomeno delle violenza pregressa: maltrattamenti e violenze censiti nel 30% dei femminicidi di coppia, ripetuti nel 70% dei casi. Come evidenziato da tutti i più autorevoli studi sul fenomeno, e come confermato dall’osservazione empirica, il femminicidio all’interno di una relazione di coppia rappresenta l’ultimo atto di una escalation di violenze e/o vessazioni di carattere fisico, psicologico o materiale agite dall’autore, talvolta anche per diversi anni. Anche per il 2014 i dati disponibili (non includendo cioè il fortissimo numero oscuro che secondo le indagini di vittimizzazione caratterizza la violenza intrafamiliare) indicano infatti al riguardo un’elevata frequenza di maltrattamenti pregressi a danno delle vittime, censiti nel 30,9% dei femminicidi di coppia (nel 23,4% considerando l’intero periodo 2010-2014). in tale contesto, un dato particolarmente allarmante riguarda la mancata risposta sociale e istituzionale alla domanda di aiuto implicitamente o esplicitamente espressa dalle donne vittime di violenza che nel 19,1% dei casi le avevano raccontate a terze persone e nel 10,6% le avevano addirittura denunciate: si tratta in primo luogo di violenze fisiche (23,5%), ma anche psicologiche (20,6%) o di altre vessazioni (11,8%). Analizzando inoltre la “durata” dei maltrattamenti emerge ancora una volta come la violenza risulti essere nella maggior parte dei casi (69,1%) “ricorrente”, in una percentuale significativa dei casi (22,1%) “episodica” e soltanto raramente “un evento isolato” (8,8% dei casi noti), a conferma ulteriore di come femminicidio costituisca l’atto finale di un percorso di vessazioni, deprivazioni e violenze che accompagna spesso per anni le vittime senza che la comunità né le Istituzioni sappiano coglierne la gravità né definirne adeguati strumenti di prevenzione e di uscita. Il femminicidio, delitto efferato. L’analisi dell’arma utilizzata nei femminicidi familiari mette in luce alcuni elementi di specificità che evidenziano una maggiore efferatezza di questi delitti rispetto al fenomeno omicidiario complessivamente considerato: tra le donne uccise in ambito familiare si rileva infatti una prevalenza di casi commessi con un’arma da taglio (30,3%) e, secondariamente, con un’arma da fuoco (28,2%), mente nel complesso degli omicidi volontari è l’arma da fuoco lo strumento più ricorrente (44,4% dei casi, contro il 24,7% delle armi da taglio). Le armi improprie rappresentano il terzo strumento in entrambi i contesti (10,4% in totale e 11,1% per i femminicidi familiari), mentre strangolamento e soffocamento, rispettivamente censiti nell’8,5% e nel 6,2% dei femminicidi familiari, implicando l’uso della forza e la sopraffazione non soltanto fisica della vittima, trovano spazi decisamente più contenuti nel complesso degli omicidi (rispettivamente 3,7% e al 3,6% dei casi). 25 novembre 2015 Queste attività di ricerca vorrebbero proseguire ed hanno bisogno del tuo sostegno: Ringraziamo in anticipo di eventuali Donazioni! |
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