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Nozze gay, Tar: "Solo tribunali possono annullare trascrizioni, non i prefetti"

I giudici amministrativi hanno disposto che i provvedimenti di annullamento di matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero non sono validi perché il potere compete solo all'autorità giudiziaria. Vendola: "Alfano e Pecoraro siano rimossi". L'Italia si è impegnata con l'Onu per il riconoscimento delle unioni omosessuali

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ROMA - Le disposizioni stabilite da alcuni prefetti per l'annullamento delle trascrizioni di nozze gay celebrate all'estero non sono valide. Lo ha deciso il Tar del Lazio che ha accolto il ricorso di alcune coppie contro l'annullamento disposto dal prefetto della trascrizione della loro unione contratta all'estero nel registro dell'Unioni Civili del Comune di Roma. Per i giudici amministrativi l'annullamento può arrivare solo dal tribunale civile. Una sentenza che coincide con la notizia dell'impegno assunto dall'Italia con le Nazioni Unite a riconoscere le unioni e il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

La sentenza del Tar si riferisce, nello specifico, al decreto del prefetto di Roma del 31 ottobre 2014 con cui Giuseppe Pecoraro aveva annullato le trascrizioni nel registro dello stato civile presso il Comune di Roma di matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, celebrati all'estero, e alla circolare del Ministro dell'Interno del 7 ottobre 2014, nel quale il titolare del Viminale Angelino Alfano invitava i prefetti  a "rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni" procedendo "all'annullamento d'ufficio degli atti illegittimamente adottati". Una decisione che aveva provocato la reazione dei sindaci che avevano proceduto al riconoscimento, come avvenuto a Milano, Bologna, Empoli e Roma.

Nella decisione i giudici della Prima Sezione Ter del Tar del Lazio affermano che l'attuale disciplina nazionale non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono trascrivibili nei registri dello stato civile. Tuttavia l'annullamento di trascrizioni nel registro dello stato civile di matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, celebrati all'estero, può essere disposto solo dall'Autorità giudiziaria ordinaria e non da ministro e prefetto, così come era avvenuto nei mesi scorsi.

"Avevo sempre affermato - ha commentato il sindaco di Roma, Ignazio Marino - pur non essendo un esperto di giurisprudenza, che sulla base delle normative nazionali e comunitarie fosse un dovere del sindaco trascrivere un documento di un'unione avvenuta all'estero di due cittadini della mia città. Per me non è assolutamente una sorpresa, non credo ci sia stato mai un momento in cui ho mostrato un minimo dubbio sulla mia certezza". Il leader di Sel Nichi Vendola ha chiesto che il prefetto di Roma Pecoraro e il ministro Alfano "siano rimossi".

Il ministero dell'Interno commenta la sentenza ripetendo di aver sempre coerentemente garantito il quadro normativo attuale in materia di stato civile, un quadro normativo che non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso, né di trascrivere quelli celebrati all'estero. Secondo il Viminale, la pronuncia del Tar conferma tale principio, così come la sentenza della Corte di Cassazione del febbraio scorso.

L'impegno con l'Onu. In un documento che il governo presenterà alla 28.ma sessione del Consiglio dei Diritti Umani che terminerà il 27 marzo prossimo l'Italia si è impegnata con le Nazioni Unite a riconoscere le unioni e anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Nell'ottobre scorso il Consiglio dei diritti umani dell'Onu aveva rivolto al nostro Paese una serie di raccomandazioni, ben 186, su materie che spaziano dalla prevenzione della tortura alla discriminazione dei rom. Tra queste, la richiesta - sollecitata dall'Olanda - di "fare passi concreti per adottare la legislazione necessaria a dare seguito all'annuncio del premier Renzi di lavorare al riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, come parte degli sforzi dell'Italia per rafforzare le misure per combattere la discriminazione e la violenza basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere". L'altra raccomandazione, su richiesta di Regno Unito e Irlanda del Nord, chiede di "assicurare eguali diritti alle persone lesbiche, omosessuali, bisessuali e transgender (lgbt) riconoscendo legalmente il matrimonio e la civil partnership (partenariato civile) tra persone dello stesso sesso".

L'Italia ha risposto in questi giorni, accettando di ottemperare a 176 raccomandazioni, tra cui le due relative al matrimonio e alle civil partnership tra persone dello stesso sesso. Un impegno preciso, dunque, contratto con un organismo internazionale, a fare passi concreti su questi temi. Ma le associazioni che si occupano dei diritti delle persone lgbt e di diritti umani reagiscono con scetticismo. "Si tratta di una notizia importante a cui speriamo seguano fatti legislativi significativi" ha detto Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone e della neonata Coalizione italiana per i diritti e le libertà civili.

"Se veramente il governo italiano ha detto sì all'Onu sul matrimonio ugualitario, allora lo annunci anche al Paese" è il commento di Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia. "Sono anni - aggiunge - che aspettiamo una notizia di questo tipo. Se il governo ha preso questo impegno, a livello internazionale, ora sia conseguente e porti una legge in Parlamento".

Anche Flavio Romani, presidente di Arcigay, mette le mani avanti: "attendiamo la prova dei fatti". "Gli impegni presi dall'Italia tracciano obiettivi per noi assolutamente condivisibili" premette. "L'auspicio è che questo sia davvero l'obiettivo - precisa - e che, ad esempio, il principio di uguaglianza non lo si voglia ridimensionare a formule parziali e comunque discriminatorie, ma anzi rimanga il faro che guida questa discussione". "E soprattutto attendiamo che, dopo anni di annunci infruttuosi, si possa dare per chiusa la fase delle parole per passare finalmente a quella dei fatti, perché il tempo, quando si parla di diritti fondamentali, non è una questione secondaria. Quindi il governo si responsabilizzi non solo rispetto agli obiettivi ma anche rispetto all'urgenza con cui essi devono essere raggiunti", conclude Romani.
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